Avevo pensato a scrivere un manuale di sopravvivenza: come superare gli anni traumatici dell’ortodonzia fissa e arrivare all’età adulta senza shock dai quali non ci si riprende più.
Il titolo però mi suonava un po’ troppo disfattista, e non volevo rovinare l’adolescenza alle migliaia di ragazzini costretti all’ortodonzia dai loro dentisti e genitori.
Partendo dalla convinzione che, nella stragrande maggioranza dei casi, penso l’ortodonzia non sia una reale necessità, ma una truffa ai danni delle famiglie che si fanno gabbare dai loro dentisti, mi vedo costretta ad ammettere che ci sono situazioni in cui, invece, è necessaria, utile e migliora la qualità della vita dell’individuo che ci si sottopone. Vi sono, pertanto, anche dentisti onesti che fanno il loro lavoro seriamente, e per il bene dei propri pazienti.
Non è stato il mio caso.
Avevo tredici anni quando la mia dentista pronunciò la fatidica frase “dobbiamo mettere l’apparecchio”. Come? Cosa? Quando? E, soprattutto, perché?? Non avevo i denti perfetti che si vedono in TV, ma andavano benissimo! Erano allineati, bianchi, puliti, tenuti d’occhio. Ma la dentista era certa al cento per cento che, crescendo, non avrei avuto spazio a sufficienza in bocca per tutti i denti a venire e che questi, ad un certo punto si sarebbero fatti la guerra per stare in prima fila, provocando il caos. Io non vedevo come la cosa fosse possibile – mi mancavano solo i denti del giudizio che, si sa, a volte escono altre no. Eppure mia madre cadde nella trappola come una mosca nella ragnatela. Terrorizzata da dei denti orribilmente storti, mi obbligò all’ortodonzia. Inutili furono proteste, pianti, spergiuri, maledizioni, minacce o mazzette. A tredici anni e mezzo ecco che mi presentavo a scuola con l’ortodonzia fissa, la peggiore di tutte.
La mia vita cambiò in peggio. I primi tempi, i compagni cattiveriosi trovarono subito vari modi per prendermi in giro, gli amici più stretti cercavano di far finta di niente, o di tirarmi su di morale – cose che mi davano entrambe fastidio. Per fortuna, alle situazioni spiacevoli ci si abitua presto e, quindi, dopo qualche settimana non mi importava più nulla dell’aspetto antisociale dell’apparecchio.
Non fu lo stesso con la questione comodità/dolori. L’apparecchio, infatti, faceva male: quasi tutti i giorni mi svegliavo con le guance tagliuzzate e di denti doloranti, obbligati com’erano a spostarsi dalla loro posizione naturale. Inoltre, ogni volta che mangiavo pezzi di cibo mi rimanevano incastrati un po’ qui un po’ lì, ed era impossibile lavare i denti per bene, con il risultato che, quando alla fine tolsi l’ortodonzia, dovetti otturare ben otto denti cariati!
Quando arrivò il momento di togliere il tutto ero davvero arrabbiata con la mia dentista, e decisi che gliel’avrei detto. A diciotto anni, ormai alla fine della mia adolescenza, le feci notare con stizza che non avevo neanche un dente del giudizio e che mi aveva rovinato un’adolescenza altrimenti perfetta.
I denti del giudizio, alla fine, scesero tutti e, indovina indovinello? Mi hanno rovinato una dentatura che avrebbe dovuto essere perfetta…
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